giovedì 3 luglio 2025

Operazione Thunderbolt

[Un dittatore che si annoia, avendo tutti i sudditi ai suoi piedi, può solo decidere di togliersi la vita o uccidere qualcuno. Siccome la decisione di suicidarsi è troppo estrema, la cosa più facile è ordinare un massacro. Fabrizio Caramagna] Quarantanove anni fa Israele realizzava con successo una delle più eroiche missioni antiterrorismo della storia nella notte tra il 3 luglio ed il 4 luglio 1976. L’imperativo categorico ebraico di salvare ogni vita umana perché ogni vita è come un mondo intero forse non ha mai trovato migliore applicazione che nella missione di salvataggio di Entebbe. Un’impresa incredibile che coniugò determinazione politica, eroismo e precisione militare nel superare la sfida titanica di un’operazione antiterrorismo condotta a circa 4.000 chilometri da casa. Ma i soldati delle Forze di Difesa israeliane che seppero affrontare e superare quella sfida avevano il sostegno compatto di un’intera nazione. Questa solidarietà di fronte al pericolo è un valore aggiunto della società israeliana. Il 27 giugno del 1976 il volo Air France 139 decollò da Tel Aviv con 246 passeggeri e 12 membri di equipaggio. Durante uno scalo ad Atene imbarcò altri 58 passeggeri, tra cui quattro dirottatori. Subito dopo il decollo per Parigi il volo venne preso in ostaggio da due palestinesi del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina e due tedeschi delle Cellule Rivoluzionarie Tedesche. Atterrati infine in Uganda (il cui regime del dittatore Idi Amin Dada simpatizzava per i terroristi), i sequestratori separarono gli ebrei e gli israeliani dagli altri ostaggi, che vennero rilasciati. Agli ostaggi, questa divisione squisitamente antisemita dei passeggeri ricordò le selezioni naziste dei campi di sterminio con cui si decideva chi sarebbe sopravvissuto e chi sarebbe stato mandato alla morte. Un passeggero sopravvissuto alla Shoà ha raccontato d’aver mostrato a uno dei terroristi tedeschi il numero che i nazisti aveva tatuato sul suo braccio. E quello ebbe il coraggio di rispondergli: “Io non sono un nazista, io sono un idealista”. La vicenda dell’Operazione Thunderbolt è ben conosciuta. Questo era il nome in codice assegnatole dalle Forze di Difesa israeliane, ma oggi è più nota come Operazione Entebbe (dal nome dell’aeroporto ugandese dove ebbe luogo) o Operazione Yonatan, in onore del tenente colonnello Yonatan (Yoni) Netanyahu, l’unico soldato caduto durante la missione.  Tre gli ostaggi ebrei che rimasero uccisi nel violento fuoco incrociato fra soldati israeliani, terroristi e soldati ugandesi. Una quarta persona sequestrata venne assassinata a sangue freddo nell’ospedale di Kampala dove era stata ricoverata. Anche loro meritano di essere ricordati in questo giorno: Jean-Jacques Maimoni, 19 anni, immigrato francese in Israele, disgraziatamente colpito quando, alzatosi in piedi, venne scambiato per un terrorista; Pasco Cohen, 52 anni, sopravvissuto alla Shoà, e Ida Borochovitch, 56 anni, immigrata dalla Russia, rimasti uccisi nel fuoco incrociato. Il quarto ostaggio, la 75enne israelo-britannica Dora Bloch, era stata ricoverata nell’ospedale Mulago di Kampala per un principio di soffocamento, e venne assassinata da militari dell’esercito ugandese. Nel 1987 l’ex ministro della giustizia ugandese Henry Kyemba disse alla Commissione ugandese per i diritti umani che Dora Bloch venne strappata dal letto d’ospedale e uccisa da due ufficiali dell’esercito su ordine diretto del presidente Idi Amin. Le sue spoglie vennero recuperate nel 1979.


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