venerdì 19 luglio 2024

57 giorni

[Nessuno è sano a Londra, nessuno può esserlo.Jane Austen] "Mi associo ai sentiti, e non solo doverosi, ringraziamenti per come si è svolto il processo in secondo grado. Vorrei dare voce in questa sede al dottore Paolo Borsellino oltre che alle parti che rappresento.    Perché tra i tanti frutti avvelenati di quello che è stato definito uno dei più gravi depistaggi della storia italiana vi è la verità della menzogna. Agevolata dalla sconcertante superficialità di tutti i magistrati della Procura allora guidata da Giovanni Tinebra". Lo ha detto l'avvocato Fabio Trizzino, legale dei figli di Paolo Borsellino, Lucia, Manfredi e Fiammetta, parti civili nel processo sul depistaggio delle indagini sulla strage di via D'Amelio in corso a Caltanissetta dinanzi alla corte d'Appello. "Questi magistrati - ha continuato Trizzino - hanno abdicato alla loro funzione di controllo e di vigilanza sull'operato degli investigatori lasciati liberi di scorrazzare nel campo della illegalità. Facendo macerie dei protocolli investigativi, della legge e della dignità delle persone che hanno sfortunatamente incrociato il loro percorso.     Mi riferisco a coloro che hanno fatto il carcere ingiustamente ma anche a quei poveri disgraziati di tre collaboratori. Le condotte dei pubblici ministeri si collocano al di fuori dell'errore fisiologico ma semmai esprimono il corto circuito di un sistema, lo sfacelo di un sistema, con effetti devastanti sul piano dell'immagine di un ordine giudiziario che non meritava tutto questo. E di cui il dottore Borsellino era uno dei più importanti esponenti. Quello stesso ordine giudiziario che però ha mostrato di raccogliere l'eredità morale di Paolo Borsellino.     Perché deve essere chiaro che la quasi totalità dei magistrati di questo paese lavora in silenzio. Non avendo il tempo di scrivere libri e parlare in pubblico. E nei confronti di questi magistrati la nostra fede rimane incrollabile" ha concluso.  Trizzino ha anche detto: "Il dottore Bruno Contrada non era in via D'Amelio. Ma è stato il classico agnello sacrificale da mettere sull'altare". Sono passati 32 anni dalla morte di Paolo Borsellino, ucciso dalla mafia insieme alla scorta in un giorno caldissimo dell’estate di Palermo del ’92. Successe 57 giorni dopo la morte di Giovanni Falcone, suo collega e sodale. Ma mentre gli anni da quelle stragi passano inesorabili, nuovi particolari emergono dalle indagini dei due magistrati, dalle carte recuperate e dalle testimonianze dei loro collaboratori. Valeria Ferrante con Rainews ricostruisce, proprio con due di loro, il generale Mori e il colonnello De Donno, del Ros dei Carabinieri, un aspetto ancora sconosciuto di quei giorni terribili, quando Borsellino e Falcone, per mandare avanti la loro inchiesta su ‘mafia e appalti’, cercarono di legarla a quella di ‘Mani Pulite’ della Procura di Milano. Senza riuscirci, semplicemente perché eliminati da CosaNostra. L’inchiesta è in onda su Rainews, oggi alle 11.30. Poi alle 9.30 e alle 13.30 del 19 luglio, nello ‘speciale Borsellino’ in diretta da Palermo.


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