[I cattivi a volte si riposano, gli imbecilli mai. Eros Drusiani] Alla commemorazione della firma delle leggi razziali, fatto storico avvenuto nella tenuta di San Rossore il 5 settembre 1938, scoppia la polemica con la Comunità ebraica dopo che il presidente locale di Anpi Bruno Possenti ha fatto nell'orazione riferimenti alle azioni di Israele contro i palestinesi. Ovviamente nessuna parola di solidarietà nei confronti dei morti vittime della guerra in Sudan, Yemen, Congo e Ruanda … lì i morti non sono palestinesi dunque possono morire. In particolare ha detto che "al binario 21 quando deportavano ebrei c'era anche troppa indifferenza e anche oggi non si può restare indifferenti di fronte al massacro di un popolo". Frasi "intellettualmente disoneste" per il presidente della Comunità ebraica Andrea Gottfried che ha rinunciato a parlare. "Mai più dove c'è Anpi", ha detto. Alla cerimonia, promossa dal Comune e svoltasi nel parco di San Rossore, erano presenti anche il sindaco di Pisa, Michele Conti, il presidente della Provincia, Massimiliano Angori, e il presidente del Parco, Lorenzo Bani. Ricordando gli effetti delle leggi razziali sugli ebrei, Conti li ha definite "vittime di un'ideologia tanto assurda quanto criminale che classificava gli uomini e le donne di religione ebraica come una 'razza' nemica e come tali da estirpare, insieme ad altre categorie, quali i rom, gli omosessuali, i testimoni di Geova, i dissidenti politici: un abominevole piano di persecuzione e sterminio che trovò terreno fertile e si affermò nel nome di una dittatura, il nazismo in primo luogo ma di cui fu complice anche il fascismo, come ha recentemente ricordato anche la premier Giorgia Meloni". "Non ce l'ho con il Comune - ha aggiunto Gottfried rispetto agli attacchi dell'Anpi a Israele - che anzi ha assistito con imbarazzo al comizio politico dell'Anpi che, evidentemente, non solo a livello nazionale ma anche locale ha deciso di approfittare di ogni occasione possibile per propagandare le sue idee politiche, per questo abbiamo già informato l'amministrazione comunale che non parteciperemo mai più a iniziative insieme all'Anpi". Infine, il presidente della comunità ebraica di Pisa ha stigmatizzato "questo tentativo di mischiare i piani" della storia "in un giorno in cui si ricordano gli effetti dell'antisemitismo, dimostrando così che quello che le anime belle chiamano antisionismo è in realtà una condotta antisemita"."Dal Sudan e in particolare dal Darfur, giungono notizie drammatiche, a El-Fasher numerosi civili sono intrappolati nella città, vittime di carestie e violenze; una frana devastante ha causato moltissimi morti lasciando dietro di sé dolore e disperazione e come se non bastasse la diffusione del colera minaccia centinaia di migliaia di persone già stremate. Presidi e cortei in molte città italiane, sabato, in occasione della mobilitazione nazionale 'Fermiamo la barbarie', in solidarietà alla popolazione di Gaza e all'iniziativa umanitaria della Global Sumud Flotilla. Ad organizzare l'iniziativa la Cgil, con l'adesione di associazioni, partiti e movimenti. Da Trieste a Cagliari, da Torino ad Ancona, in piazza striscioni, bandiere palestinesi e barchette di carta, a simboleggiare la flottiglia diretta verso Gaza. Nessun corteo di solidarietà a favore del Sudan. Potrebbe essere di 1.500 civili morti il bilancio dell'attacco al più grande campo profughi del Sudan avvenuto ad aprile, in quello che si configurerebbe come il secondo peggior crimine di guerra del catastrofico conflitto in atto nel Paese. Lo rivela una inchiesta del Guardian sull'attacco durato 72 ore dalle Forze di Supporto Rapido (Rsf) paramilitari al campo di Zamzam nel Darfur settentrionale, il più grande del Paese. Sulla base di testimonianze direttamente raccolte, risulta che centinaia di civili rimangono dispersi e che il massacro è stato accompagnato da esecuzioni di massa e rapimenti su larga scala. Secondo le stime elaborate dal Guardian, l'attacco delle Rsf sarebbe secondo solo a un analogo massacro etnico avvenuto nel Darfur occidentale due anni fa. La guerra tra le Rsf a guida araba e l'esercito sudanese, scoppiata nell'aprile 2023, è stata caratterizzata da ripetute atrocità, costringendo milioni di persone ad abbandonare le proprie case e causando una delle più grandi crisi umanitarie al mondo. Finora, i resoconti sull'attacco a Zamzam tra l'11 e il 14 aprile avevano indicato che fino a 400 civili non arabi erano stati uccisi durante l'attacco durato tre giorni e l'Onu aveva quantificato le vittime in "centinaia". Tuttavia, un comitato istituito per indagare sul bilancio delle vittime ha finora "contato" più di 1.500 vittime nell'attacco, avvenuto alla vigilia di una conferenza di pace promossa dal governo britannico a Londra. Mohammed Sharif, membro del comitato e membro della precedente amministrazione di Zamzam, ha affermato che il totale finale sarebbe significativamente più alto, con molti corpi ancora da recuperare dal campo, ora controllato dalle Rsf. Almeno 2.000 residenti di Zamzam, ha aggiunto, risultano ancora dispersi. Sono più che mai vicino alla popolazione sudanese, in particolare alle famiglie, i bambini, gli sfollati". Lo dice all'udienza generale, papa Leone che lancia un forte appello: "Rivolgo un appello accorato ai responsabili e alla comunità internazionale - scandisce - affinché siano garantiti corridoi umanitari e si attui una risposta coordinata per fermare questa catastrofe umanitaria. È tempo di avviare un dialogo serio, sincero e inclusivo tra le parti per porre fine al conflitto e restituire al popolo del Sudan, speranza, dignità e pace". Due anni sono trascorsi dal 15 aprile 2023, quando è esplosa in Sudan la guerra. Una guerra dimenticata, che non fa notizia – con poche eccezioni– e che continua a uccidere, affamare, distruggere. È la più grave catastrofe umanitaria nel mondo: 30 milioni di persone – due terzi della popolazione – hanno bisogno urgente di aiuto.Tra Khartoum e il Darfur, il conflitto tra le Forze Armate Sudanesi (SAF) e le Forze di Supporto Rapido (RSF) ha ridotto città intere in cumuli di macerie, sfollato oltre 8,6 milioni di persone all’interno del Paese, costretto 3,9 milioni di profughi in fuga nelle nazioni vicine. Le donne e i bambini sono le vittime più vulnerabili. Le violenze sulle donne sono dilaganti; 17 milioni di bambini sono senza scuola da più di un anno, 3,7 milioni soffrono di malnutrizione acuta. Un bambino su tre sotto i cinque anni mostra ritardi nella crescita. La fame è fra gli effetti più crudeli della guerra: 24 milioni di persone affrontano ogni giorno la fame, di cui 8 milioni in condizioni emergenziali e oltre 600mila in stato di carestia conclamata. Il collasso delle attività agricole, l’impossibilità di consegnare aiuti umanitari e la speculazione sulle risorse aggravano un quadro già drammatico. A peggiorare la situazione, la crisi sanitaria: il 60% della popolazione non ha accesso a cure mediche. Colera, malaria e dengue dilagano. Gli ospedali sono bersagliati, il personale sanitario intimidito o ucciso. I disturbi mentali si moltiplicano tra i rifugiati, ma solo il 15% può ricevere supporto psicologico. E mentre i sudanesi sopravvivono e muoiono nel silenzio del mondo, gli appelli della Chiesa e della società civile si alzano per rompere l’indifferenza. La rete Caritas, con l’aiuto delle comunità locali e di organizzazioni partner, continua a distribuire cibo, acqua, kit igienici, cure mediche e supporto psicosociale. Ma le risorse sono insufficienti. Il Piano di Risposta Umanitaria delle Nazioni Unite per il Sudan è ampiamente sottofinanziato anche a causa dei tagli agli aiuti americani. Milioni restano senza alcun sostegno. Caritas Italiana sostiene questi interventi e si unisce agli appelli che chiedono un immediato cessate il fuoco, l’interruzione di ogni fornitura di armi a tutti i contendenti, la protezione dei civili, la garanzia di un accesso sicuro e senza ostacoli all’assistenza umanitaria e un impegno più deciso ed efficace della comunità internazionale per prevenire la disgregazione del Sudan e riattivare un processo di pace e di transizione democratica in mano ai civili. Si chiede inoltre la tutela del diritto di asilo dei rifugiati e l’aumento dei fondi per il Piano di Risposta Umanitaria delle Nazioni Unite garantendo fondi flessibili che possano essere incanalati verso gli attori locali, le ONG locali e le organizzazioni religiose. Serve una risposta collettiva, coraggiosa e compassionevole. Perché nessuna guerra, per quanto lontana dagli schermi, deve essere dimenticata.
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